Dezinformatsiya: una specialità moscovita
Il rapporto dell'Unione europea sulla disinformazione. Un'incursione tv tra Canada e Sicilia. La condanna di Giovanni Morabito. Un estratto da Duello, il mio ultimo libro.
Benvenute e benvenuti: sono Antonio Talia e faccio il giornalista.
«Buon Vespro!» è il saluto rituale che si rivolgono gli affiliati alla ‘Ndrangheta nelle riunioni segrete.
Vesper Lynd è l’unico, vero amore di James Bond (ma per fortuna gli sceneggiatori dell’ultimo ciclo hanno un po’ cambiato le carte in tavola).
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I Rizzuto e la Cosa Nostra canadese 🇨🇦
Ormai da qualche anno collaboro con J.E Bureau d’Enquête, un programma di giornalismo investigativo in onda sulla tv canadese 🇨🇦 francofona TVA Nouvelles.
Nel reportage in onda venerdì scorso siamo andati in Sicilia per raccontare l’ascesa e la decadenza dei Rizzuto, la famiglia che per oltre cinquant’anni ha dominato la Cosa Nostra canadese: quello sopra è un estratto girato a Capaci (è stato molto emozionante) e trovate la puntata completa qui (dovrebbero essere perfino disponibili dei sottotitoli).
Информационное противоборство
(dal programma Evening Urgant)
Vi ricordate Ciao, 2020? Era la parodia russa 🇷🇺 di un gala di capodanno della tv italiana 🇮🇹 degli anni ottanta condotto da Ivan Urgant, un intrattenitore molto talentuoso: era divertente, supercolorato e per gli italofoni presentava anche il bonus di ascoltare un italiano parlato con buffo accento russo.
Poi Vladimir Putin ha premuto ancora più a fondo sul pedale dell’autoritarismo, ha invaso l’Ucraina 🇷🇺 e proprio nel febbraio 2022 il programma di Ivan Urgant si è visto cancellare il programma ed è sparito dalla circolazione.
Ma secondo il Terzo Rapporto sulle Interferenze e le Manipolazioni Straniere dell’Informazione redatto dal Servizio europeo per l’azione esterna (EEAS, quella che con un po’ di esagerazione viene definita «la diplomazia della Ue»), la Russia non ha affatto perso il suo smalto nel replicare media occidentali; lo ha solo rivolto alla disinformazione: il rapporto cita numerosi casi di clonazione di autorevoli testate giornalistiche europee 🇪🇺 (Le Parisien, Der Spiegel e La Stampa tra gli altri), che a un’occhiata distratta sembrano identiche agli originali e vengono impiegate come cavallo di Troia per veicolare notizie false. Queste campagne sono state nominate Doppelgänger e False Façade.
Ovviamente le false testate giornalistiche sono solo uno degli strumenti: nel 2024 l’EEAS ha identificato con certezza 505 «incidenti», oltre 68mila contenuti falsi diffusi su 25 piattaforme, e ha approfondito la dottrina russa di Информационное противоборство (informacionnoe protivoborstvo, ovvero «conflitto informativo»), in cui l’informazione è allo stesso tempo l’arma e l’ambiente in cui viene impiegata.
Tra i social network - e come stupirsi? - X è quello più infestato, dove sono passati ben l’88% dei contenuti falsi che l’EEAS attribuisce con certezza a Mosca.
Con questi contenuti la Russia ha cercato di influenzare le elezioni (in particolare quelle tedesche 🇩🇪 e romene 🇷🇴), ha preso di mira leader europei come Ursula Von der Leyen e Kaja Kallas, ha tentato di inquinare le Olimpiadi di Parigi 🇫🇷.
Spesso, quando leggo i messaggi degli ascoltatori che arrivano in diretta a Nessun Luogo è Lontano -il programma di affari esteri di Radio 24 per il quale lavoro - mi chiedo quale sia la ricetta del successo di queste campagne, capaci di convincere cittadini apparentemente capaci di intendere e di volere di enormità come «le basi segrete della NATO nascoste sotto l’Ucraina».
Una risposta parziale ma approfondita la fornisce il libro Misure Attive di Thomas Rid 😉.
Secondo EEAS, infine, la Russia punta ormai a esercitare un’influenza di lungo termine sull’opinione pubblica dei paesi europei.
La condanna di Giovanni Morabito
(Dia)
Il 18 marzo il tribunale di Milano ha condannato a 19 anni e 4 mesi Giovanni Morabito, figlio del tristemente noto boss della ‘Ndrangheta Giuseppe Morabito detto Il Tiradritto.
Giovanni, medico in una Rsa milanese, guidava un gruppo che controllava moltissime “società-cartiere” emettendo fatture false per l’acquisto di beni e servizi fasulli e creando così fondi neri per soggetti terzi, ma si era inserito anche nelle truffe sui bonus Covid e 110, e un parte del gruppo ovviamente non rinunciava al traffico di cocaina e alle estorsioni.
Al di là delle considerazioni sull’entità della pena - Giovanni Morabito ha già 62 anni - questa condanna secondo me pone due temi: il primo è che le 'ndrine hanno sfruttato in maniera selvaggia tutti i bonus statali degli ultimi anni; il secondo è che famiglie come i Morabito sono capaci di fare affari davvero in tutto il mondo e in ogni tipo di ambiente, se consideriamo che Giovanni Morabito controllava una società quotata al Nasdaq di Wall Street (scarso valore effettivo delle azioni ma utilissima per altre frodi finanziarie).
Un estratto da Duello
(Copertina di Duello- Caccia globale al boss dei narcos calabresi)
Il mio ultimo libro racconta proprio le vicende della famiglia Morabito e in particolare di un lontano cugino di quel Giovanni appena condannato: Rocco Morabito, detto Il Tamunga, è stato uno dei più potenti broker della coca del mondo.
Qui vi regalo il prologo: godetevi la lettura (e se vi piace, potete ordinare il libro qui).
E adesso, il prologo.
«Your own worst enemy has come to town,
Your own worst enemy has come,
Everything is falling down,
Your own worst enemy has come to town.»
Bruce Springsteen & The E-Street Band, Your Own Worst Enemy
Prologo
Il picco Scapparrone, mille e cinquantotto metri di altezza, tra i più impenetrabili di tutto l’Aspromonte, incombe su un grappolo di colline costellate di pascoli, campi, vigne e alberi di bergamotto, oggi ridotti a moncherini rinsecchiti da almeno due passate di veleno. È una giornata di ottobre, ma dalla montagna – dove spesso in questa stagione [AT1] covano nubi cariche di tempesta, che poi si riversano su tutta la Locride – spira un vento sostenuto che spinge le nuvole verso il mar Jonio, producendo un caleidoscopio continuo di ombre lunghe e pozzanghere di luce. Se non fosse per il giallastro malsano dei tronchi contaminati, il verde dominerebbe ovunque, da quello scuro degli olivi e di qualche quercia fino ai toni chiari degli agrumeti e dei fichi d’India, interrotti solo dal grigio dei dirupi rocciosi nei tratti più ripidi e brulli.
L’aria profuma di pioggia, e in qualsiasi direzione si volga lo sguardo, il panorama sembra immutato da decenni: lo so bene, perché la proprietà dove qualcuno si è introdotto per distruggere gli alberi appartiene alla mia famiglia da quattro generazioni e ora – dopo la morte di mio padre – è passata a me.
«Bisognava aspettarlo col fucile puntato», dice l’agronomo che mi accompagna per stimare i danni.
Cinquant’anni, viso scavato e scintillio in fondo agli occhi grigio-verdi, così comuni sulla costa Jonica nella provincia di Reggio Calabria, sembra fatto di filo di ferro. Esercita in questa zona da quando si è laureato, conosce alla perfezione il contesto e può permettersi di scherzarci sopra.
«Bisognava aspettarlo col fucile puntato, spararlo, e seppellirlo in fondo alla vigna. Poi, quando mandavano il secondo, dovevamo sparare pure lui e seppellirlo vicino al primo. E vedi che il terzo non lo mandavano più. Questi sono quelli che impediscono a tutti gli altri di lavorare.»
Ridiamo insieme come fanno i calabresi sulle battute macabre e su quelle cariche di disillusione, ma io lo faccio un po’ più forte, perché mi sono immaginato con la coperta sulle gambe e lo schioppo del nonno in mano, seduto a scrutare nel buio mentre gli spiriti dei primi due estranei ammazzati e seppelliti nella vigna vengono a parlarmi, notte dopo notte, come raccontano le credenze locali.
Invece farò precisamente quello che mio padre ha già fatto prima di me, ossia sporgere una denuncia contro ignoti alla stazione dei carabinieri di Bruzzano Zeffirio, dove il militare di turno la depositerà nella cartella denominata «Criminalità rurale». Definire «rurale» la criminalità di queste zone equivale a dire che i Medici erano una famiglia di banchieri di provincia e che i Borgia godevano di una cattiva reputazione esagerata: basta grattare la superficie per scoprire che il contesto è molto più avanzato di quanto non sembri.
Tutta la zona tra monte Scapparrone, il borgo semiabbandonato di Motticella e, ancora più giù, fino a Bruzzano Zeffirio, Africo Nuovo e al mare, passando per i ruderi seicenteschi dell’Arco dei Principi di Carafa e le rovine bizantine di Rocca degli Armeni, sembra il luogo meno adatto del mondo per testare una nuova tecnologia. Eppure, almeno dal 2015, lungo le strade scoscese di queste colline silenziose si è accesa in segreto una moltitudine di occhi elettronici: sono i telefoni cellulari Encrochat e poi le generazioni successive, dette Sky EEC e AN0M, una serie di dispositivi ideati per rendere anonime e irrintracciabili le comunicazioni.
Secondo le indagini delle DDA di Reggio Calabria, di Locri e di altre procure italiane – incrociate con le inchieste di una decina di agenzie per il contrasto al crimine organizzato disseminate tra l’Unione europea, il Nordamerica e l’America Latina – il narcotrafficante internazionale Rocco Morabito, detto ’U Tamunga, ha usato questi dispositivi per comunicare fino all’ultimo con parenti e alleati di Africo Nuovo e dintorni, prima della seconda e definitiva cattura, avvenuta nel maggio del 2021 a João Pessoa, in Brasile.
In circa venticinque anni di latitanza, ’U Tamunga è diventato uno dei cinque o sei intermediari capaci di determinare il prezzo della cocaina a livello europeo. Attraverso Encrochat e i dispositivi successivi, Rocco Morabito e la ‘Ndrangheta di Africo comunicavano con gente come Ridouan Taghi, il capo della cosiddetta Moccro Mafia – l’organizzazione attiva tra Paesi Bassi e Dubai che con gli omicidi dell’avvocato Derk Wiersum e del giornalista Peter R. De Vries nel pieno centro di Amsterdam ha trasformato l’Olanda in un narcostato, e poi ha agghiacciato l’opinione pubblica di tutta Europa con il ritrovamento di stanze di tortura nei pressi del porto di Rotterdam.
A Dublino, ’U Tamunga e soci parlavano con Daniel Kinahan, rampollo del Cartello Kinahan, la massima organizzazione di trafficanti di droga delle isole britanniche; nei Balcani collaboravano con i gruppi albanesi e bosniaci diventati sempre più potenti nel controllo della logistica della coca, mentre a San Paolo del Brasile stringevano accordi con Marco Williams Herbas Camacho, il boss del micidiale cartello di narcos paramilitari Primeiro Comando da Capital.
Nella zona tra Argentina, Brasile e Paraguay, nota come Tripla Frontera, dove le leggi e i confini sbiadiscono fino a perdere significato, intrattenevano da tempo rapporti con trafficanti di valuta e riciclatori di origine libanese legati a Hezbollah. Si servivano dei money transfer controllati dalla criminalità cinese per spostare immense masse di denaro. In Pakistan trattavano con i signori della guerra locali per assicurare agli alleati latinoamericani container su container di fucili kalashnikov.
Per le cronache di tutto il mondo, la cattura del Tamunga in Brasile nel 2021 – poi estradato in Italia nel 2022 e oggi detenuto in un carcere di massima sicurezza[AT2] – costituisce una delle più massicce cacce all’uomo degli ultimi decenni, un’operazione di infiltrazione informatica senza precedenti nella storia della lotta al crimine organizzato e una fotografia dello stato dell’arte del narcotraffico globale. Per me, per l’agronomo e per tutte le persone oneste della zona pone anche un immenso interrogativo sui concetti di caso e libero arbitrio: se agli inizi del Ventesimo secolo gli eventi avessero preso una piega leggermente diversa, infatti, forse oggi la proprietà agricola tra il monte Scapparrone e Motticella sarebbe stata di Rocco Morabito anziché mia.
Molto prima di Africo Nuovo, dove ’U Tamunga è nato e cresciuto, esisteva Africo e basta, un villaggio di pastori arroccato dietro il monte.
Nel 1951, dopo quasi un secolo di povertà e carestie, Africo venne rasa al suolo da un’alluvione che per oltre quattro giorni si abbatté con furia biblica su case, stalle e pascoli, uccidendo varie persone e un numero imprecisato di capi di bestiame.
Per fortuna sfacciata, per un’intuizione prodigiosa o forse a causa di qualche contrasto con gli altri paesani, il mio bisnonno Bartolo aveva già abbandonato Africo da tempo per investire i guadagni della pastorizia in alcuni appezzamenti di terreno più a valle, a Motticella. In questo modo risparmiò alla moglie e ai loro sei figli l’annegamento, la morte sotto le macerie o la diaspora toccata invece al nonno di Rocco Morabito e a tutti gli altri abitanti della zona. Centinaia di superstiti vennero deportati per decenni come profughi da un comune all’altro prima di finire riallocati nelle case popolari di Africo Nuovo, un paese inventato dal nulla sulla costa per accogliere un popolo di pastori di montagna.
Il processo che ha trasformato i Talia in una comune famiglia di professionisti di provincia e i Morabito-Palamara-Bruzzaniti in un clan della ‘Ndrangheta che al culmine della potenza controllava società quotate nei listini secondari di Wall Street si è svolto tutto su una linea sottile come il crinale del monte Scapparrone. Gli effetti consistono in «un livello di violenza senza precedenti» che si sta abbattendo sul continente europeo, conseguenza di un mercato del traffico di droga del valore di oltre trenta miliardi di euro all’anno, come recita il rapporto di Europol presentato l’8 marzo 2024.
Forse, dalla cella in cui è rinchiuso, Rocco Morabito riflette sull’arresto condotto da un gruppo di investigatori quasi tutti nati e cresciuti nella zona, che prima di intercettare i telefoni Encrochat sono stati capaci di decifrare la sua mentalità. O forse sta riconsiderando le camere di tortura scovate a Rotterdam. Gli omicidi per il controllo delle rotte dello spaccio che si susseguono da Londra a Marsiglia fino ai Balcani e alla Costa del Sol, in Spagna. Ricalcola i soldi riciclati che dai paradisi fiscali contaminano l’economia delle capitali europee, e alla fine deve riconoscere che questo incubo è anche merito suo.
Mi rigiro tra le dita i moncherini anneriti di bergamotto. Siccome non voglio sparare, ho il dovere di testimoniare.
È necessario disseppellire alcuni segreti di famiglia che sembravano dimenticati. È doveroso porgere il giusto tributo alle donne e agli uomini che hanno catturato uno dei criminali più pericolosi della nostra epoca.
È giunto il momento di tracciare un discrimine netto tra chi spara e chi denuncia.
Tra chi opprime e chi si oppone.
Tra chi ha scelto di avvelenare gli alberi e chi ha scelto di coltivarli.
Anche per questa settimana è tutto.
Buon fine settimana e a prestissimo!